LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al R.G.2899/2003 avente ad oggetto: condanna alle spese di lite della parte soccombente ex art. 91 c.p.c., promossa da Consiglio Augusto, con l'avv. Carmelo Sorace appellante, contro Marcolongo Ennio, con l'avv. Paolo Avagnina, appellato. P r e m e s s o c h e 1. - Con sentenza 1830/05 App. To I.sez. civ. depositata in data 16 novembre 2005, notificata in data 21 marzo 2006 al procuratore domiciliatario dell'appellante, passata in giudicato in data 21 maggio 2006 e' stata dichiarata l'inammissibilita' dell'appello proposto contro la sentenza n. 4421/02 resa tra le parti dal Tribunale di Torino. 2. - In parte motiva della citata sentenza si e' rilevato che l'avvocato difensore della parte risultata soccombente in primo grado ha presentato tardivamente, contro la sentenza impugnata. un appello che ben avrebbe potuto proporre nei termini (essendogli stata gia' in prime cure conferita dal cliente la procura alle liti per tutti i gradi del giudizio) ma che non avrebbe piu' dovuto presentare (in quanto oramai priva di qualsivoglia utilita', essendo passata in giudicato, per il decorso del termine di impugnazione, la sentenza appellata, non piu' impugnabile. Come accertato nella sentenza parziale App.To 1830/05 sopra citata, gia' la procura conferita in primo grado dall'odierno appellante allo stesso difensore, che ha proposto l'appello tardivo, gli dava tale l'incarico in ogni fase e grado del processo, ex art. 83, ult. comma c.p.c. (cfr. procura alle liti apposta a margine dell'atto di citazione in primo grado, che recita: «Delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio in ogni sua fase e grado, compresa l'impugnazione ...». Nello stesso atto di appello si indica che esso viene proposto in virtu' di «delega a margine dell'atto di citazione 23 giugno 2000», richiamata nell'epigrafe della citazione in appello. 3. - Non sussistono pertanto elementi per addossare alla parte appellante, non responsabile per la tardiva instaurazione della lite in appello, il suo rigetto per inammissibilita', addebitabile esclusivamente a negligenza del difensore e non al suo cliente. 4. - A seguito della soccombenza si e' statuito, nella citata sentenza (App. To 1830/05), non sussistere motivi che giustificassero la compensazione tra le parti delle spese di lite, dovendosi rimborsare alla parte risultata vincitrice le spese di lite del gravame, riconoscendosi alla parte vittoriosa il diritto di essere tenuta indenne dalle spese che ha dovuto affrontare per difendersi (24 Cost.) in sede di gravame. 5. - La pronuncia di inammissibilita' della domanda registra infatti la soccombenza totale ed effettiva nei confronti della controparte, risultata vittoriosa (cfr. Cass. civ., sez. I, 28 marzo 2001, n. 442). 6. - Nella specie il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado non e' stato cagionato dall'inammissibilita' dell'impugnazione, come avviene, ad es., nei casi di nullita' dell'appello o di genericita' dei motivi di gravame: cfr. Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2004, n. 3809; Cass. civ., sez. lav. 3 giugno 2004, n. 10596), ma e' stato esso stesso causa di inammissibilita' dell'appello, in quanto il giudicato precede la proposizione dell'appello. 7. - Cio' posto, le spese di lite, alla luce del diritto vivente, dovrebbero essere poste, per diritto applicato, ex art. 91 c.p.c., a carico della parte risultata soccombente e non del suo difensore, in quanto questi non assume la qualita' di parte (cfr. Cass. civ., sez. II; 19 dicembre 2005, n. 27941; Cass. civ., sez. I, 19 settembre 2003, n. 13898; Cass. pen., sez. I, 19 marzo 1997, n. 2286). 8. - La Corte territoriale si e' pertanto posto il quesito se sia costituzionalmente legittimo porre a carico della parte le spese di lite ove - come nella specie - la soccombenza risulti ascrivibile a tardivita' dell'appello per sua intempestiva, negligente proposizione da parte del suo avvocato, in violazione della normale diligenza professionale esigibile ai sensi del secondo comma dell'art. 1176 c.c., rispetto alla quale rileva anche la colpa lieve, essendo inapplicabile l'art. 2236 c.c. (cfr., ex multis, in tema di responsabilita' del notaio, Cass. civ., sez. II, n. 4427; Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2006, n. 264; in tema di responsabilita' del medico, Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2005, n. 22894; Cass. civ, sez. III, 2 febbraio 2005, n. 2042). 9. - L'applicazione del principio sancito dall'art. 91 c.p.c. appare illogica e discriminatoria nel caso in esame in cui il difensore designato ex art. 83, ult. comma, c.p.c. ha dato causa, col suo ritardo, alla inammissibilita' dell'appello e dunque alla soccombenza della parte appellante. Nella fattispecie la soccombenza della parte appellante deriva dunque da ragioni alla stessa assolutamente non ascrivibili (tardivita' della proposizione dell'appello) poiche' causata da intempestiva attivita' defensionale che esula da ogni determinazione della parte, in quanto dipendente da scelta propria ed esclusiva del suo difensore. 10. - Questa Corte territoriale, ravvisando gli estremi per sollevare la questione di costituzionalita' dell'art. 91 c.p.c., ha ritenuto corretto, per consentire una piu' compiuta difesa ai patroni delle parti in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza della questione, decidere la lite con sentenza parziale sull'inammissibilita' dell'appello e rimettere la causa sul ruolo in ordine al capo dell'appello concernente la questione relativa al soggetto (la parte o il suo difensore) tenuto a pagare le spese del giudizio del secondo grado. E' stata pertanto disposta la separazione della lite concernente la condanna al pagamento nei confronti della parte vittoriosa delle spese del giudizio, con rimessione degli atti sul ruolo in punto spese di lite del gravame, invitando le parti ad illustrare le proprie ragioni sulla questione e sui dubbi di legittimita' costituzionale della norma. 11. - Nella specie non viene in esame la responsabilita' del professionista ai fini del ristoro dei danni (per perdita di chance di vincere la causa) subiti dal cliente, essendo estranea al tema qui in discussione la questione se, in difetto di tardiva proposizione dell'impugnazione, il gravame, ove tempestivamente proposto, sarebbe risultato fondato (cfr. Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 2002, n. 2836). Invero, nel regolamento delle spese processuali, non puo' neppure aver luogo il criterio della soccombenza virtuale a carico della parte convenuta in giudizio con una azione inammissibile, questione che esula dall'economia del processo e che si potrebbe porre in un distinto, eventuale, separato giudizio. 12. - Cio' posto, l'avvocato dell'appellante ha ammesso la tardivita' dell'impugnazione ed ha dichiarato quanto alle spese di lite da pagare alla controparte risultata vittoriosa, di essere coperto da polizza assicurativa. Ha dedotto che la vigente normativa non consente di condannare alle spese di lite il difensore, invocando tale qualita' ed assumendo che la condanna non puo' essere emessa che nei confronti della parte assistita. Ha quindi concluso che, in base all'art. 91 c.p.c. la condanna alle spese dovrebbe essere pronunziata nei confronti del proprio cliente, il quale, potrebbe, poi, eventualmente agire nei suoi confronti per essere rimborsato delle spese di lite causate dalla tardivita' dell'appello e dal cliente stesso pagate alla controparte; in tal caso l'avvocato dell'appellante ha esposto che avrebbe a sua volta invocato la copertura assicurativa. 13. - A parere di questa Corte territoriale e' evidente la tortuosita' e logicita' della procedura sopra indicata, che impone al giudice di condannare alle spese un soggetto qualificato «parte» solo perche' conferi' a suo tempo una procura che non poteva piu' essere esercitata. Invero il difensore all'epoca designato non ha svolto tempestivamente l'attivita' nell'ambito del processo, cio' che costituisce suo specifico obbligo (cfr. Cass. civ., sez. III, 8 maggio 1993, n. 5325), mentre il suo cliente risulta al giudicante essere assolutamente incolpevole ed estraneo alla causazione del motivo di inammissibilita' dell'appello. A cio' aggiungasi che il far ricadere le conseguenze della soccombenza sulla cd. «parte» assistita, comporta il farle assumere una responsabilita' oggettiva per gli atti del suo difensore. Cio' e' deresponsabilizzante nella specie per il suo patrono e rende poi solo eventuale il recupero, da parte del cliente, di somme da lui pagate alla controparte per colpa altrui, in conseguenza diretta ed immediata della tardiva proposizione del gravame e della sua dell'inammissibilita' con la necessita' di sobbarcarsi l'onere di un altro giudizio per l'esperimento dei rimedi previsti in materia di responsabilita' per colpa professionale. 14. - La questione appare non manifestamente infondata sotto il profilo della irragionevolezza imponendo l'art. 91 c.p.c. nella lettura datane dal diritto vivente, di condannare il cliente (ossia il consumatore) anche nei casi in cui la sua soccombenza sia ascrivibile esclusivamente a colpa del suo avvocato (ossia il professionista, di cui deve obbligatoriamente avvalersi nel processo) che vi ha dato causa. Per diritto applicato, infatti, il difensore e' parte ai fini delle spese solo ove sia antistatario (cfr. Cass. civ., sez. III, 5 agosto 2005, n. 16597). Nella specie poi non sussiste alcun pregiudizio al diritto di difesa dell'avocato del soccombente, che si e' ampiamente difeso sul punto, mentre il cliente, che dovrebbe, in base alla legge, essere condannato al pagamento delle spese di lite, causate, come detto, dalla tardivita' dell'appello, non risulta dagli atti neppure essere informato sulle ragioni dell'intervenuto rigetto dell'appello. Ne' e' ragionevolmente prevedibile che lo sia, in quanto i clienti-consumatori non hanno conoscenze tecniche adeguate ed hanno difficolta' a giudicare la qualita' dei servizi che ricevono [(cfr. relazione della Commissione europea del 5 settembre 2005 (Com-2005- 405)]. 15. - Le pronunce di rigetto dell'impugnazione per motivi di rito sono, del resto (anche ove il cliente ne abbia lettura, cosa per vero insolita), scarsamente intelleggibili per un non professionista del settore, nella nozione datane dal diritto vivente (Cass. civ., sez. I, 25 luglio 2001, n. 10127; Cass. civ., sez. I, 4 aprile 2001, n. 4946; Cass. civ., sez. III, 14 aprile 2000, n. 4843; Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2006, n. 2279). 16. - Diversamente dagli altri professionisti, poi (si pensi alla figura del medico, che non gode certo di tali privilegi), l'avvocato non ha nella specie, in quanto irragionevolmente esonerato dall'art. 91 c.p.c. dall'obbligo di pagare le spese di lite da lui solo causate, la responsabilita' sancita dall'art. 1176, secondo comma, c.c. dell'homo eiusdem generis et condicionis, senza che tale esenzione di responsabilita' sia sorretta da alcuna causa giustificatrice adeguata. La condanna alle spese del cliente per un rigetto dell'impugnazione causato da comportamento dell'avvocato, configura anzi una sorta di anomala responsabilita' oggettiva del consumatore per fatto del professionista, in netto contrasto con i principi enunciati dall'art. 1469-bis c.c.. gia' nella versione anteriore alla modifica apportatavi dalla legge comunitaria n. 526 del 21 dicembre 1999 e successivamente dal d.lgs.n. 206 del 2005. Tale anomala responsabilita' oggettiva appare operare, all'evidenza, al di fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge (ex art. 2051 c.c., responsabilita' dell'albergatore, 2053 c.c. - danno da rovina di edifici - 2054, quarto comma, c.c - responsabilita' per danni causati da vizi di costruzione o da difetti di manutenzione di veicoli, 2050 c.c. - responsabilita' per attivita' pericolose). 17. - Del pari appare sussistere disparita' di trattamento non sorretta da ragionevole causa giustificatrice. Diversa e piu' compiuta tutela e' assicurata alla parte soccombente non per sua colpa (ed alla stessa parte vittoriosa) dall'art. 94 c.p.c. che contempla [peraltro con carattere di eccezionalita' preclusivo (ex art. 14 disp. sulla legge in generale) dell'estensione analogica della norma] la possibilita' di condanna personalmente alle spese di chi - non essendo parte nel processo - rappresenta o assiste le parti in giudizio, in ipotesi di ricorrenza di gravi motivi, tra cui e' configurabile anche la mancanza di normale prudenza (Cass., civ., sez. I, 20. marzo 1962, n. 554). Si osserva al riguardo che la giurisprudenza della suprema Corte ha escluso la possibilita' di condanna in proprio del difensore alle spese del giudizio provocate dalla sua attivita' anche in caso di mancanza di prova di rilascio di procura alle liti, oltreche' in caso di invalidita' della stessa. Secondo la consolidata giurisprudenza della suprema Corte, «E' principio generale dell'ordinamento quello secondo cui non puo' mai assumere la qualita' di parte di un atto un soggetto che agisce nella veste di rappresentante pur non avendone i poteri...». Pertanto, «il destinatario della pronuncia sulle spese... non puo' essere l'avvocato, che, appunto, non assume la qualita' di parte nel processo» (Cass., sez. lav., 5 settembre 2000, n. 11689; cfr. altresi' Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1969, n. 3510). 18. - La rilevanza della questione appare evidente, in quanto il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale sollevata, in difetto della quale dovrebbe essere pronunciata la condanna del cliente-consumatore imposta dall'art. 91 c.p.c., facendo dunque gravare le spese di causa sulla parte che non ne ha alcuna colpa e cui non e' imputabile in alcun modo sul piano eziologico la tardiva introduzione della lite, ascrivibile esclusivamente a negligenza dell'avvocato dell'appellante. Deve rammentarsi che l'avvocato, pur fornendo una prestazione di mezzi e non di risultato, e' tenuto a porre in essere atti idonei ad assicurare il conseguimento del loro scopo legale tipico (nella specie: revisio prioris istantiae), derivandoglitale obbligo dall'incarico conferitogli dal cliente. Invero, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, la procura alle liti (pur persistendo il rapporto col cliente ad altri fini, quale ad es., per la notifica di atti al domicilio elettivo) non puo' piu' essere dal patrono utilizzata allo scopo di chiedere la riforma di una sentenza oramai passata in giudicato, avendo esaurito lo scopo per cui e' stata rilasciata dal cliente. 19. - L'attivita' del difensore, in tale contesto, si sarebbe dovuta limitare (per dovere di consiglio sulla portata giuridica dell'impugnazione) ad una consultazione col cliente, rendendolo edotto dell'impossibilita' di proporre appello per essere oramai passata in giudicato la sentenza che la parte intendeva impugnare. 20. - Si pone pertanto il quesito se sia ragionevole e giusto (ex artt. 3 e 24 Cost.) che le spese di lite, cui ha diritto nel caso in esame, la controparte che si e' dovuta difendere costituendosi nel grado di appello e che certo il proprio avvocato lo deve pagare in ogni caso, siano poste a carico del cliente-consumatore-appellante e non dal suo difensore-professionista, che le ha negligentemente causate. 21. - La soluzione imposta dal diritto vivente appare irragionevole poiche' quando la procura alle liti ha esaurito il suo scopo l'attivita' del difensore non puo' invero ragionevolmente riverberare alcun effetto sulla c.d. parte difesa e dovrebbe restare attivita' di cui, di norma, il professionista - diverso dall'avvocato - assume (ex artt. 1176 e 2229 c.c.) la esclusiva responsabilita'. Il professionista non ha evidentemente piu' il potere, di cui era stato investito precedentemente, di difesa, consistente nella specie nella impugnazione della sentenza, quando questa e' passata in giudicato, onde appare insensato che la condanna alle spese del grado di un appello che non si poteva piu' proporre gravi sul suo inconsapevole cliente. Il cliente, anzi, benche' la suprema Corte non lo consideri parte destinataria delle statuizioni derivanti dal processo solo in caso di inesistenza della procura ad litem (cfr. Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 2003, n. 1115; Cass. civ., sez. II, 20 aprile 1995, n. 4462; Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1994, n. 1780), non dovrebbe ragionevolmente poter assumere la veste di parte neppure nel presente giudizio, in quanto era inibito (dal giudicato della sentenza di primo grado) al suo difensore originariamente designato per tutti i gradi del giudizio, di instaurare successivamente al giudicato un rapporto processuale in grado di appello. 22. - La questione e' circoscritta al tema se, pur considerando l'obbligazione dell'avvocato di mezzi e non di risultato (tra le altre, Cass. nn. 11612/1990, 10068/1996, 7618/1997; 1286/1998, 10431/2000), sia giusta la persistenza dell'obbligo del cliente di pagare un debito (parcella del legale della controparte) in caso di grave incuria, negligenza, colpa o inosservanza di disposizioni di legge da parte del suo patrono. 23. - Impugnare una sentenza passata in giudicato (posto che la patologia dei rapporti giuridici su cui si interviene nelle aule giudiziarie puo' essere paragonata alle patologie in ambito sanitario) equivale ad effettuare un intervento terapeutico su di un paziente oramai deceduto. 24. - Invero l'avvocato non puo' impugnare una sentenza passata in giudicato, (a meno che non ricorrano gli estremi per la revocazione). Allo stesso modo, un medico non puo' effettuare un intervento chirurgico su un paziente quando oramai sia morto, (a meno che non si tratti di prelievi per trapianti). Nella specie, la morte del paziente ossia il passaggio in giudicato della sentenza e l'insuscettibilita' di censure contro tale statuizione), e' stata causata dallo stesso professionista che doveva compiere l'intervento per sottoporre la sentenza alla revisio orioris istantiae. 25. - L'inammissibilita' dell'appello per sua tardiva proposizione e' poi per certo una inammissibilita' insanabile, correlata alla tutela di interessi di carattere generale, causata dalla inosservanza di un adempimento prescritto a pena di decadenza (Cass. civ., sez. un., 5 aprile 2005, n. 6983; Cass. civ., sez. lav. 12 marzo 2004, n. 5150; Cass. civ., sez. I, 18 luglio 2003, n. 11227). 26. - Nel caso in esame la questione (chi debba pagare le spese di lite alla parte risultata vincitrice per l'inammissibilita' dell'appello per la sua tardivita), atto che solo il difensore puo' porre in essere, ex art. 82 c.p.c. (cfr. Cass. civ., sez. L, 5 settembre 2000, n. 11689, alla luce del criterio della diligenza professionale media (cioe' posta nell'esercizio dell'attivita' esercitata dal difensore, di preparazione professionale e di attenzione media) ex art. 1176 c.c., e' stata ampiamente dibattuta dai difensori delle parti in comparsa conclusionale e memorie di replica. 27. - Ora appare a questa Corte territoriale irragionevole che in base ad un atto assolutamente inidoneo a spiegare qualsivoglia effetto per sopravvenuto difetto di causa della originaria procura alle lite (ex art. 1418 c.c.), attesa l'autorita' vincolante per le parti della statuizione non piu' impugnabile che ha deciso la controversia, il cliente dell'avvocato appellante, che non sarebbe potuto essere neppure parte nell'appello (per non essere concepibile prima ancora che ammissibile la impugnazione della sentenza dopo il suo passaggio in giudicato) - cosi' comenel caso di assenza di procura alle liti, preclusiva dei poteri rappresentativi - (Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2001, n. 4139) sia tuttavia considerato parte, ex art. 91 c.p.c., ai fini della soccombenza, posto che l'estinzione della funzione della originaria procura conferita al suo avvocato (in quanto utilizzata dal patrono per un appello non piu' esperibile per essere scaduti i termini per proporlo), non pare potere ragionevolmente (ex art. 3 Cost.) incidere sulla valida instaurazione del rapporto processuale. 28. - In materia di disciplina delle spese di lite, per fermo orientamento giurisprudenziale, nel caso in cui difetti (nel senso che non esista) la procura alle liti (diversamente da quello di invalidita' o di nullita' della procura ad litem, provvisoriamente idonea a determinare l'instaurazione del rapporto processuale) l'attivita' del difensore, privo dello ius postulandi, non puo' riverberare alcun effetto sulla parte, ma resta attivita' processuale di cui il legale esclusivamente assume la responsabilita', anche in ordine alla spese ai sensi e per gli effetti dell'art. 91 c.p.c. (Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1994, n. 1780; Cass. civ., sez. II, 1° luglio 1996, n. 5955; Cass. civ., sez. II, 7 maggio 1997, n. 3966; Cass. civ., sez. I, 9 settembre 2002, n. 13069; Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 2003, n. 1115). 29. - Ad analoghe conclusioni si dovrebbe peraltro ragionevolmente poter pervenire - a parere di questa Corte territoriale - nel caso in cui ricorra il difetto sopravvenuto della procura alle liti per la quale l'attivita' del difensore non dovrebbe piu' spiegare effetti nella sfera giuridica del cliente. La fattispecie appare analoga a quella in cui nessuno ius postulandi puo' essere piu' esercitato, in quanto lo vietano principi inderogabili che impongono all'avvocato di non iniziare una causa per la modifica di una statuizione che in base a norme imperative e di ordine pubblico, non e' piu' impugnabile, costituendo cio' un limite perentorio all'esercizio dello ius postulandi. 30. - Appare pertanto irragionevole e discriminatorio che l'avvocato, che agisce quando non abbia piu' i poteri propri del difensore (e quindi non solo nell'ipotesi di difetto originario, ma anche in caso di difetto sopravvenuto di procura alle liti) per il solo fatto che fu originariamente designato come difensore, conservi tale qualificazione, non possa assumere la qualita' di parte, e non possa essere condannato alle spese di lite risultate conseguenza diretta ed immediata del suo comportamento, che debbono, secondo il disposto dell'art. 91 c.p.c. per diritto vivente, essere poste a carico della parte e non del suo difensore. Appare altresi' illogico attribuire la qualita' di difensore, ex art. 82 c.p.c., a chi non puo' piu' difendere in alcun modo il cliente nel processo di appello da lui tardivamente instaurato. Appare del pari illogico che nonostante la tardivita' dell'atto di appello che per la intervenuta decadenza impedisce ogni attivita' di difesa delle sue ragioni, il cliente assuma ancora la qualita' di parte nel processo di gravame.